Melide: all’ombra quieta del tempo

Di Paola Cerana

Imponente eppure gentile. Solido eppure fragile. Orgoglioso eppure umile.
Sostare all’ombra quieta delle sue generose braccia trasmette la sensazione di un rassicurante abbraccio. Creatura secolare, cresciuta fiera e fedele alla sua terra, l’Eucalyptus che s’erge nel cuore di un’oasi verde a Melide somiglia a un buon sovrano in meditazione.

Un santo, meglio. Perché quel suo srotolare i rami verso il cielo, come braccia verso Dio, evoca una sorta di silente venerazione, di preghiera laica.
Ecco, allora, che proprio nel periodo dell’anno più spirituale, in cui ci si raccoglie tutti attorno al tradizionale albero di Natale, ricamato di luci, colori e speranze, personalmente trovo molta più religiosità (laica s’intende) qui, in questa pianta che la maggior parte della gente passando ignora, o dà per scontata. Invito, dunque, soprattutto chi è particolarmente sensibile alla natura, a passare di qui, in questo delizioso comune adagiato sul lago, e camminare fino ad incontrarla per respirare le sue mistiche emanazioni.
Al fascio fitto e tentacolare dei rami, inteneriti dalle foglie lanceolate, fa da controcanto il tappeto innervato di radici che s’allungano come serpenti a caccia di cibo, facendosi largo nella terra. Spesso quando vengo qui, mi piace toccarne con pudore gli estremi e seguirne il tragitto finché le radici si fanno sempre più robuste, inerpicandosi in un labirinto sempre più contorto.
Ha un che di sensuale, oltre che spirituale, questo inesorabile scorrere della vita. Qualcosa di ancestrale che riporta alle origini. Sono le sue vene quelle. Lì dentro scorre il suo sangue, che si fa linfa, e risale copioso abbeverando il tronco nerboruto che rivela tutta la bellezza di una faticosa crescita.
A tratti ferito e lacerato, ma compatto e combattivo nel suo divenire, parla del tempo questo Eucalyptus, del tempo passato a sopravvivere lì dove è nato. E quelle radici che spiccano il volo, così testarde e capricciose, evocano tutta la forza di chi s’aggrappa alla propria terra difendendo un diritto che solo la Natura dovrebbe sancire. Forse per questo, paradossalmente, quel succhiare con ostinazione la vita evoca in me anche tutto il dolore di chi, invece, alle proprie radici è stato strappato.
Immaginare quell’albero così vivo, talmente vivo da percepirne il respiro, la voce, lo sguardo, immaginarlo violato delle proprie fondamenta e rapito alla propria culla fa male. Sa di ingiustizia, di colpa, di morte.
Ma è lo stesso Eucalyptus a spazzar via le immagini sanguinose che mi sfiorano. Con le sue fronde leccate dal vento pare salutare il lago, insieme a questo anno che lentamente se ne va. Lo ricordano anche le coste dei comuni attorno, tutte addobbate a festa, tutte scintillanti, ognuna con il proprio albero natalizio. Eppure, quando queste luci si spegneranno, lui resterà, l’Eucalyptus di Melide … Imponente eppure gentile. Solido eppure fragile. Orgoglioso eppure umile.