La Regina delle Nevi e il dio del Sole


Di Paola Cerana

“Se si deve percorrere con lo sguardo una superficie ghiacciata, si guarda in maniera diversa. Si lascia che i particolari vadano fuori fuoco a vantaggio dell'unità…”.
È una frase recuperata dal romanzo di Peter Høeg, Il senso di Smilla per la neve, che negli anni ’90 riscosse un grande successo, anche come film. Mi è tornato alla mente ieri, quando mi sono avventurata in una delle mie escursioni, spingendomi questa volta nel bianco assoluto del Passo del Lucomagno, a oltre 1900 metri, là dove il Canton Ticino sposa il Canton Grigioni.

Partendo da Lugano e oltrepassata Biasca, si risale la Val di Blenio con i suoi deliziosi paesini, ricchi di storia e di fascino – tra cui Malvaglia, Acquarossa, Olivone e Acquacalda - che via via vengono sopraffatti dalla verticalità del paesaggio, lasciando il dominio alle montagne ancora abbondantemente imbiancate. La Valle si allunga dalla confluenza del torrente Legiuna con il fiume Brenno fino a Olivone, proseguendo fino alla Greina e, se il tempo meteorologico è complice, si presenta come una vera e propria culla di sole. Il Pizzo Sosto, il Cervino della Valle di Blenio, con i suoi 2221 metri non è la cima più alta delle Lepontine, tuttavia, con la sua vertiginosa impennata simile a un dente aguzzo, dà il benvenuto a chi sale fin qui, rubando la scena alle vette circostanti. Tutta la Valle, in verità, infonde un senso di riverenza. Sarà, forse, perché il suo nome “Blenio” deriva probabilmente dal dio solare Belenos, ed è infatti battezzata “la Valle del Sole”. Sole che, in giornate come questa, accende la neve di infinite sfumature, come un diamante attraversato dalla luce. Lasciata l’auto a Santa Maria, accanto all’Hospizio chiuso, e infilate le ciaspole mi sento felice, come un animale rimesso in libertà. So che ci sono almeno dieci modi di dire “neve” in Groenlandia ma, di fronte al paesaggio che mi accoglie, penso che possano essere ancora di più. Il mantello biancazzurro è costantemente cangiante, passo dopo passo, istante dopo istante. Sembra un abito da sposa ricamato da preziosi plissé. Avventurarsi lentamente tra questi candidi canyon, a tratti farinosi e a tratti lisci come seta, lascia il tempo allo sguardo di scivolare sulla solidità cristallina della montagna. Ed è proprio vero, come scrive Høeg: i particolari vanno fuori fuoco a vantaggio dell’unità, un’unità che tuttavia non è mai identica a se stessa ma disegna orizzonti diversi, prospettive inattese, metro dopo metro. Prepotenti folate di vento giocano sulla superficie della neve e disegnano piccole onde sinuose che fanno somigliare la montagna a un deserto sabbioso, faticoso, segnato dal passaggio ondulatorio di qualche serpente. Ma il respiro corto e i passi appesantiti dalle ciaspole mi riportano dove sono: alzando lo sguardo seguo la cresta della montagna fin dove si perde nell’azzurro. Proseguendo per la Val Termine fino alla Val Piora, si può raggiungere il Lago Ritom attraverso il Passo dell’Uomo o il Passo delle Colombe. Un’impresa impegnativa ed emozionante che non appartiene a questa giornata ma resta sicuramente una promessa per la prossima ciaspolata. Ora rimane solo il tempo di voltare le spalle alla vetta per ritrovare i propri passi in quel nulla che così tanto dà. Un ultimo sguardo al piccolo lago ghiacciato e alla statua bianca di Maria, accanto alla chiesetta anch’essa bianca come la neve, quasi a non voler deturpare con la sua presenza la perfezione della Natura. E bevendo l’ultimo sorso di sole mi sento un po’ come un’immaginaria Regina delle Nevi. Non certo con il gelo nell’anima, come la protagonista della fiaba, ma – al contrario - con quel prezioso brivido nel cuore che ogni avventura nella Natura ogni volta mi lascia.

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