Dalla Mongolia al Monte Boglia: un incontro speciale


Di Paola Cerana

Quando mi avventuro su per qualche montagna del Cantone spero sempre di non incontrare gente. La bellezza dell’arrampicata sta anche nel silenzio, nella solitudine o, tutt’al più, nella compagnia di chi condivide il nostro stesso ritmo. Ma questa volta, la mia recentissima escursione sulle assolate pendici del Monte Boglia mi ha riservato davvero una lieta sorpresa: un incontro speciale. A circa metà cammino, partendo a piedi da Cureggia, scorgo tra le fronde ancora nude dei faggi, una sagoma ben nota e di certo inconfondibile.

Folti capelli e barba bianca, carnagione imbrunita dal sole, occhi color dei laghetti alpini e fisico da inossidabile atleta, a pochi metri davanti a me c’è proprio lui, Werner Kropik, fermo a gustare il panorama da uno dei punti più panoramici del Boglia.
Per un attimo mi sento catapultata in uno dei suoi documentari, uno dei tantissimi che avrò visto chissà quante volte sulla TSI! Documentarista, narratore ma soprattutto viaggiatore per natura, Werner ha una maniera tutta sua di prendere per mano lo spettatore e di portarlo in giro per il mondo, dalle vette della Mongolia a quelle delle montagne ticinesi. La sua inimitabile voce ipnotizza e trasporta lontano, esattamente dove lui è a raccontare quello che vede, quello che prova, quello che sente. E adesso eccolo qui, sul nostro Boglia.
Da un saluto alla salita. Così comincia la piacevolissima condivisione del cammino verso il pratone calvo della montagna che ci aspetta quieto, senza altre presenze umane in vista. Passo dopo passo, sono spontanee confidenze quelle di Werner che, incalzato da qualche mia curiosità, risponde generosamente abbondando in dettagli e ricordi circa i suoi viaggi lontani e vicini. Così, ascoltando la sua voce che sale insieme a noi verso la cima, imparo che, poco più sotto, il Boglia ospita un boschetto di pini in cui abitano dei cervi che escono solo la notte. Non si vedono ma ci sono, così posso immaginarli. E imparo anche che dalla cima, dove svetta la croce, a volte c’è chi si lancia con il parapendio sulle ali del vento. Ora non c’è nessuno ma così posso immaginare anche questo.
E ancora, bevendo le parole di quest’inatteso personaggio incontrato sul cammino, traduco istantaneamente gli aneddoti narrati in immagini e allora capisco definitivamente la sua virtù. Quella di saper far viaggiare con la mente chi lo ascolta e, a maggior ragione, chi segue i suoi documentari. Così, quando arrivati quasi alla vetta, confida che un suo amico malato e prossimo alla fine gli disse “grazie, perché mi hai fatto vedere il mondo anche senza aver mai viaggiato …” colgo in quella frase tutta l’essenza della sua missione. Una missione, più che una professione, perché - come lui stesso ammette - se quel che fa avesse il sapore del lavoro non l’avrebbe mai fatto.
La sua è una vocazione: classe 1942, a 17 anni parte per il suo primo viaggio in sella a una bici e dalla sua città natale, Vienna, il suo viaggio esistenziale l’ha portato negli angoli più disparati del mondo, in bici, a piedi, in slitta, sui mezzi più improbabili e nelle condizioni più scomode. L’importante è sempre stato avventurarsi oltre il conosciuto, per toccare l’anima di luoghi e persone diverse da sé, trasformando la pura curiosità in vera conoscenza.
È un uomo senza tempo, penso mentre lo osservo, ed è paradossale sapere che, prima di dedicarsi del tutto ai viaggi e ai documentari, Werner per oltre vent’anni ha tenuto un laboratorio di oreficeria a Lugano! Ma evidentemente il suo spirito libero aspirava a ben altri orizzonti: da Hong Kong all’India, dalla Siria al Pakistan, il suo sguardo s’è spinto oltre il visibile riuscendo a narrare con profonda umanità realtà così diverse da quelle delle nostre latitudini. Altrettanta passione trapela quando s’incammina su per le incantevoli valli del Cantone, a due passi dalla città, tra storia, natura e piccoli segreti custoditi nella roccia magari sconosciuti anche a chi vive da queste parti. E sempre, con un tocco d’ironia e di autoironia, riesce a strappare un sorriso anche negli sviluppi più emotivi e coinvolgenti dei suoi racconti.
Prima di salutarci, proprio lì davanti al pratone calvo del Boglia, senza pudore gli chiedo una foto insieme. Accetta, ovviamente perché gentile, ma questa mia richiesta un po’ infantile e un po’ figlia dei tempi nostri mi porta alla mente uno dei suoi documentari in cui parlava dei … cacciatori moderni. Sì, i cacciatori di fotografie! Quelli che a tutti i costi in prima fila devono catturare l’immagine più sensazionale cogliendo l’attimo attraverso obiettivi lunghi come canne di fucili. Ride, ricordando quel documentario e, in particolare, un fotografo russo che, con la sua gigantesca macchina fotografica, ingombrava fastidiosamente e non si voleva togliere. “…così gli ho lanciato un sasso e finalmente ha capito …” Felice d’essere armata solo di un telefonino, rubo un’ultima foto con Werner che m’affretto a salvare. Proprio come farebbe un cacciatore con il suo bottino. Nella foto sono lì in piedi, proprio sulla cresta del Boglia, e solo in quell’istante mi rendo conto dei lati scoscesi che puntualmente mi tormentano di vertigini… E allora mi vedo con la mente, impavida e ferma sul mio cammino, proprio come fossi dentro un documentario.