Val Bavona: la storia delle "terre" , la magia della natura

Di Paola Cerana

Ci sono luoghi sulla Terra che,  più di altri, trasmettono particolari vibrazioni. Sensazioni di energia e delicatezza insieme, emozioni che scuotono la mente e toccano il cuore, dettate da forze naturali invisibili ma, per alcuni, prepotentemente percepibili.

 

Una di queste oasi naturali animate di magica potenza è senza dubbio la Val Bavona, in quella fetta di Svizzera italiana in cui la natura resta vistosamente regina nonostante l’addomesticamento umano. Già arrivarci suscita stupore. Pare di sgusciare fuori dal tempo attuale, dalla quotidiana frenesia, per inoltrarsi in un paesaggio ovattato, fiabesco, sospeso tra il mistico e il perturbante.  

A partire da Cavergno, in fondo alla Vallemaggia, questa valle dalla forma a “U” è stata plasmata nei secoli dai ghiacciai che l’hanno resa tra le più selvagge del Canton Ticino, tanto attraente quanto inospitale. Forse è proprio l’inospitalità il segreto del suo fascino, come fosse una donna tanto desiderabile quanto difficile da conquistare, gelosa della propria selvaticità. Le rocce s’impennano impervie verso il cielo portando con sé ricche chiome di vegetazione che paiono aggrapparsi alla pietra con inusuale tenacia per raggiungere il sole che, d’estate, accende tutto di un verde brillante dalle mille sfumature. Il foliage autunnale, invece, trasforma la valle in una tavolozza di rossi pennellata di gialli improvvisi che sfidano i primi freddi e le precoci spruzzate di neve.

I dodici nuclei in pietra che adornano il fondovalle ricordano che fino a pochi decenni fa qui non c’era alcuna strada carrozzabile (costruita solo dopo il 1950), niente asfalto, niente elettricità, nessuna comodità. Anzi, tutto ruotava attorno alle elementari esigenze di una vita semplice e modesta. Per centinaia d’anni gli abitanti, insieme ai loro animali, hanno campato duramente assoggettati al ritmo delle stagioni, strappando alle montagne ciò che la terra poteva donar loro per sopravvivere. La coltivazione di cereali, canapa e ortaggi è stata una conquista e ancora oggi lo si evince dalla collocazione delle case in pietra, raggruppate in piccole manciate attorno a giardini e piccoli orti, il tesoro di questa gente. E d’inverno, quando le fatiche si facevano eccessivamente pesanti, la maggior parte degli abitanti si trasferiva a Cavergno (ca’ d’inverno) fino in primavera, portando con sé, ovviamente, gli animali, altro bene prezioso.

Spesso le casupole, dotate di stalle, cantine, mortai e forni, si affacciano l’un l’altra, quasi a scaldarsi reciprocamente. “Terre” sono chiamati questi paesini, e “terrieri” sono gli abitanti, proprio per sottolineare l’importanza vitale dell’elemento terra in questa valle. Terra, roccia ma anche acqua, sono gli elementi essenziali qui. Tutta la Val Bavona, infatti, dai ghiacciai, alle cascate, ai fiumi, è un continuo susseguirsi di energia liquida che abbevera il terreno. L’acqua rappresenta le vene della Terra ed è un ulteriore elemento di energia positiva, per chi sa entrare in empatia con la natura e ascoltare i suoi messaggi. Anche se, si sa, la natura non è mai buona o cattiva: e così anche l’acqua può trasformarsi da benedizione in maledizione. Diverse esondazioni, infatti, hanno segnato il destino della Val Bavona, come a Mondada, Ritorto, Foroglio e Bolla. Tuttavia, il tempo perdona tutto e oggi queste “terre” sono piccoli preziosi gioielli da ammirare.

Le Terre

Mondada è il primo nucleo che s’incontra risalendo la valle. Una manciata di casette in bilico sulla ripida scarpata. In origine il paesello doveva apparire ben diverso, infatti il terreno ai piedi dell’abitato è stato eroso da una violenta piena del torrente Larèchi, avvenuta in tempi assai lontani.

Fontana è il nucleo più esteso. Casupole e stalle sistemate a gradoni, assecondano le pieghe del terreno ingentilendo i grossi macigni che i terrieri hanno ingegnosamente utilizzato per costruire cantine, ovili e prati pensili. Questa terra è stata violata da una gigantesca frana e una lapide oggi commemora il disastro. Ma l’attrazione maggiore qui è il piccolo ponte in pietra a valle del nucleo che sormonta il fiume Bavona. Qui, al cospetto di azzurrissime acque, sensitivi, sciamani, geomanti o semplicemente amanti della natura dotati di sensibilità percepiscono la presenza degli esseri elementari del fiume. Spiriti benevoli che diffondono vitalità ed emozioni positive. Che ci crediate o no, vale la pena sostare qui e mettere in silenzio l’emisfero sinistro del cervello, quello razionale, per far galoppare le emozioni e i pensieri più liberi. É così possibile lasciarsi attraversare dall’onda invisibile di energia e sentirsi, almeno per qualche istante, nel ventre di Madre Terra. Parte di quel meraviglioso, incommensurabile Tutto che ci ha partorito, cullato e finora ospitato.

Proseguendo oltre, Alnedo, insieme a Sabbione, è un nucleo molto piccolo con case e stalle per poche famiglie, dato lo scarso terreno coltivabile. Ospita un cascinale ben conservato che pare sfidare il bosco circostante, vero sovrano delle due piccole terre.

A Ritorto, case e stalle appaiono in perfetta simbiosi con i macigni. Una sorta di alleanza tra uomo e montagna, poiché la roccia nei secoli ha protetto il nucleo dalle alluvioni. Il fiume, infatti, ha ripetutamente devastato la campagna, tuttavia le case, arroccate ai blocchi, sono rimaste intatte.

Ai piedi di un ripido pendio morenico sorge Foroglio. Tra le casupole raccolte attorno alla chiesa, spaziano case più grandi, oggi ben ristrutturate e abitabili, e un pittoresco grotto. I viottoli del nucleo sono stati lastricati con cura e attraversarli riporta in un ideale, piccolo presepe dove verrebbe voglia di ritirarsi in una parentesi spirituale. Ma Foroglio è innanzitutto sinonimo di acqua: la cascata del torrente Calnègia è, infatti, uno dei punti più energetici della valle. Il salto di oltre 100 metri infrange l’acqua sulle rocce sottostanti creando un costante fragore, un potente tuono che si riverbera nell’aria diffondendo in tutto il paesaggio una primordiale, inquietante bellezza. Qui vicino, a Puntid, c’è anche un antico masso coppellare: una grossa lastra di pietra su cui l’uomo ha scolpito delle piccole coppelle rituali, oggi abrase ormai ma ricche di mistiche evocazioni. Fermarsi qui, in ascolto della cascata, riporta alle origini dell’esistenza. Avvicina a “dio”.

Tornando sulla Terra e proseguendo il cammino, s’incontra Roseto. Qui le case fanno blocco attorno all’oratorio, considerato sacro in origine, oratorio che attira lo sguardo con la candida facciata sormontata dal piccolo campanile a vela, così leggero accanto all’asprezza delle rocce.

Fontanellata è caratterizzato dalla disposizione delle case a semicerchio, attorno ai prati, costruite ignorando l’orientamento solare, anzi alcune sono persino rivolte a Nord. Il semicerchio voleva privilegiare la possibilità di guardarsi, di comunicare gli uni con gli altri, per sentirsi più vicini e protetti, in una comunità in cui la cooperazione era fondamentale.

Sulla sponda di fronte, dall’altro lato del fiume, sorge Faedo, terra violentemente devastata dallo straripamento del riale che scende dalla Valle di Foioi. Accadde il 31 agosto 1992, data indelebile che porta con sé la memoria di due morti e la distruzione di tredici edifici.

Bolla in passato doveva essere circondata da tanto verde, mentre oggi è poco più di una radura incorniciata dal bosco. La sua rovina è stata provocata a più riprese dal torrente della Gru che ha travolto case e stalle. Sono rimaste in piedi alcune abitazioni, insieme alla chiesetta, quasi fosse un segno divino, chiesetta che tra l’altro è tra le più belle in Bavona.

Sonlerto è un grosso nucleo costruito a cavallo di un’imponente frana che sbarrava la valle. Qui più che altrove gli abitanti hanno dovuto sfidare grandi difficoltà per asservire la montagna ma, ancora una volta, ce l’hanno fatta.

L’ultimo nucleo della valle è San Carlo. Gli edifici qui sono costruiti in ordine sparso lungo la campagna, dove nel XVII secolo sono approdati i terrieri provenienti da Prèsa, terra abbandonata perché malferma, quando era già in atto la transumanza annuale da Bignasco. Tra i ruderi del nucleo di Prèsa sono state salvate alcune case torri, e gli affreschi dell'oratorio del 1524 sono stati collocati nella chiesetta di San Carlo. Un buon esempio di recupero di un passato forse povero di averi ma ricco di valori.